Iris Murdoch: le parole per comprendere la complessità della vita pratica

Leonor Fini - Autoritratto (1968) - Trieste, Museo Revoltella


Questo è il primo di due post dedicati al pensiero della filosofa Iris Murdoch (1919-1999). Da qualche decennio, la sua filosofia è oggetto di un'ampia riscoperta che si traduce in monografie, convegni e miscellanee di approfondimento, tuttavia, poichè non è ancora molto nota tra i non specialisti, in questo post ho cercato di abbozzarne una presentazione generale. Più precisamente, non ho inteso inventariare tutti gli aspetti del suo pensiero, dal suo realismo etico alla sua originale lettura di Platone, dalle sue osservazioni sulle virtù morali alla reinvenzione del cosiddetto argomento ontologico, bensì ho cercato di offrire una via d'accesso a uno dei nuclei generativi di tale pensiero. E non solo del suo pensiero. Iris Murdioch, infatti, non è stata solo una filosofa, ma pure un'importante e prolifica scrittrice, soprattutto di romanzi e però anche di opere teatrali e di poesie. Pur distinguendo queste due attività, non le ha praticate come se non avessero relazioni: ebbene, uno dei luoghi di contatto è proprio il nucleo su cui mi concentro e che riguarda il linguaggio che è necessario per comprendere la vita pratica.
Per rendere conto sul piano teorico-filosofico di quel che facciamo nella vita, cioè del nostro agire e delle nostre scelte, ma anche delle riflessioni in cui meditiamo su quanto ci capita o su quel che fanno gli altri, è necessario riscoprire la ricchezza del nostro lessico morale, un lessico e un linguaggio che non si riducono alle parole più generiche, quali bene e male, giusto e ingiusto e poche altre appena più specifiche (uguaglianza, libertà). Sebbene queste parole siano importantissime, non sono le uniche e solo se non vengono isolate dalle altre, più specifiche, possono aiutarci a sviluppare comprensioni profonde delle situazioni pratiche e delle risposte che possiamo dare loro. Le parole moralmente connotate, ma più specifiche sono ad esempio: omicidio, furto, coraggio, compassione, premura, dignità, alienazione e moltissime altre. Bernard Williams, dichiarandosi in debito con Murdoch, li denominerà: concetti etici spessi (Thick Ethical Concepts), cioè specifici, ricchi, in cui l'elemento informativo-rivelativo e l'elemento di impegno pratico non sono separabili.

Iris Murdoch

D'altro canto, per Murdoch, queste parole più specifiche non sono solo da riscoprire, quasi fossero sempre lì a disposizione e fosse soltanto una cattiva filosofia a farle dimenticare o non vedere. No, queste parole vanno perdendosi e noi siamo testimoni e soggetti di un impoverimento reale delle risorse simboliche attraverso cui dar voce all'esperienza e articolare gli ideali su cui ci orientiamo e attraverso cui riconosciamo ciò che non va nella nostra forma di vita sociale. Non basta dunque una terapia filosofica contro le filosofie che ci rendono ciechi, ma occorre anche riattivare la tessitura di quelle parole e della competenza linguistica ad esse associata. La scrittura e la lettura letteraie hanno qui un ruolo decisivo, ma non sono le uniche fonti. Esiste anche la meditazione personale che sta al centro della vita interiore. Ed esiste pure un certo lavoro politico cui è dedicato il prossimo post.

(Su Murdoch, ho scritto anche alcuni saggi accademici, uno di questi è pubblicato su una rivista on line e si trova: qui)




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