Iris Murdoch e gli ideali della tradizione socialista


Umberto Boccioni, La signora Virginia (1905), Milano, Museo del Novecento

Come ho mostrato nel primo post dedicato a Iris Murdoch, una delle più interessanti tra le sue linee di riflessione sul mondo pratico è quella che insiste sull'importanza, nell'esperienza morale, di quel variegato e ampio insieme di parole in cui si intrecciano in maniera inestricabile una dimensione per così dire normativa o valutativa e una dimensione per così dire descrittiva o fattuale, ad esempio "assassinio", "furto", ma anche "coraggio", "pietà", "purezza", "generosità". Sono parole come queste a fare da medio tra le più generali parole dell'etica, "bene", "male", "giusto", ingiusto", e le situazioni concrete in cui dobbiamo agire e a cui dobbiamo rispondere in modi che auspichiamo essere giusti e degni.
    Rispetto a queste parole più pregnanti e ricche, Murdoch fa due operazioni: da un lato ci invita e aiuta a riscoprirle tra le risorse simboliche di cui già disponiamo, ma che tendiamo a disconoscere assecondando le astrazioni di una certa filosofia morale; dall'altro lato, ci fa capire che non si tratta solo di riscoprirle, si tratta anche di tornare ad esservi familiari, di riapprenderne l'uso sapiente e dunque anche di partecipare alla loro riattivazione generale - attivazione che non consiste solo nel loro tornare ad essere applicate, ma soprattutto nell'essere reimmerse nel processo di articolazione dei loro significati per dare voce all'esperienza.
    Ora, secondo Murdoch, questo processo di articolazione accade certamente a livello dei singoli individui quando questi, sia grazie alla meditazione personale, sia grazie alla letteratura, raffinano i concetti che usano per elaborare la loro esperienza (e questo a sua volta fa sì che la loro vita interiore sia più ricca, la loro comprensione delle situazioni più profonda e la loro risposta pratica più giusta). Tuttavia, nonostante gli studiosi di Murdoch abbiano insistito poco su questo, quel processo accade anche a un altro livello che, con la stessa Murdoch, possiamo chiamare politico. Il post di oggi è dedicato a questo secondo aspetto.
    In particolare, faccio riferimento a un saggio del 1958, intitolato A House of Theory (ricompreso nel volume di Murdoch, Esistenzialisti e mistici. Scritti di filosofia e letteratura, Il Saggiatore). I traduttori italiani hanno reso questo titolo così: Un edificio di teoria. Si tratta di una scelta un po' strana perchè quello che Murdoch vuole suggerire non è tanto che la teoria debba andare a costruire un solido e imponente edificio, bensì che sappia dare luogo a una casa in cui le istanze politiche più concrete possano trovare una prospettiva più ampia e profonda.


    Più esattamente, in questo testo, Murdoch ragiona sulla tradizione socialista. Dopo essere stata capace di far valere grandi ideali che hanno ispirato una politica progressista e dei conflitti socio-politici senza i quali lo stato sociale, il welfare, non sarebbe esistito, alla fine degli anni Cinquanta questa tradizione e soprattutto il movimento socialista appaiono a Murdoch ripiegati su stessi, cioè oscillanti tra dichiarazioni generali troppo generiche (torna dunque il problema delle parole pratiche così generali da divenire vuote) e programmi politici di troppo corto respiro. Occorre, dice Murdoch, tornare a impegnarsi in quell'articolazione dei valori e degli ideali progressisti (uguaglianza, giustizia, democrazia) capaci di renderli pregnanti e parlanti. La posta in gioco non è niente di meno che quel sapere simbolico grazie a cui sappiamo dire in maniera precisa e profonda che cosa non va nello stato di cose presente e a che cosa non possiamo rinunciare nella ricerca di una configurazione più giusta. 
    Invece di cercare di farci bastare le parole che occupano il centro della scena della politica critica (o "di sinistra"), come "democrazia", "uguaglianza", "diritti" (e forse oggi dovremmo aggiungere "riconsocimento" e "cura"), provando a tirarle da ogni parte per renderle adeguate a dire tutto quel che non va e tutto quello che merita di essere cercato, occorre sviluppare la tradizione socialista affinché quelle stesse parole riacquistino concretezza e verità (ad esempio liberandole dallo sfondo individualistico-atomistico entro cui oggi le riceviamo) e altre possano arricchirle. Si tratta di un tema quanto mai attuale.
    Su questa scia, la lettura di A House of Theory dovrebbe essere sviluppata seguendo la riappropriazione murdochiana de La prima radice (L'enraciment) di Simone Weil, "uno dei pochi trattati politici profondi e originali del nostro tempo". Ci tornerò in una prossima pausa filosofica... 
 
 
Video 1: La ricerca intrapresa e promossa da Iris Murdoch delle parole giuste per articolare sia la nostra esperienza del mondo e degli altri, sia gli ideali che meritano di ispirare la nostra risposta pratica non interessa solo la meditazione interiore, ma ha pure una dimensione politica. Nel testo a cui qui faccio innanzitutto riferimento, "A House of Theory" ("Un edificio di teoria", nella traduzione italiana), lei sviluppa questa dimensione attraverso una riflessione sul movimento socialista e la sua tradizione. Dopo essere stato capace di ispirare una politica progressita e veramente capace di interpretare in maniera non formalistica l'ideale della giustizia sociale, questo movimento appariva a Murdoch, alla fine degli anni '50, ripiegato su se stesso, oscillante tra parole d'ordine troppo generiche e programmi precisi di troppo corto respiro. "Dei nostri ideali, scrive Murdoch, siamo in grado di dare solo una spiegazione piuttosto breve e spoglia. [...] alla maggior parte delle persone mancano le parole per dire anche solo perchè sia sbagliato ciò che ritengono tale"
 
 
 
Video 2:  Questo è il secondo video di un post dedicato alle implicazioni politiche del discorso di Iris Murdoch sui concetti pregnanti che occorrono per dar parola all'esperienza, comprendere le situazioni e rispondervi in maniera tanto giusta. La sfida di quel suo testo che sto commentando, A House of Theory, del 1958, consiste nell'indicare un modo per rivitalizzare la tradizione socialista e renderla di nuovo capace di ispirare una politica progressista di ampio raggio, che è l'unica politica di cui abbiamo davvero bisogno, di contro ai vari richiami al realismo e alle soluzioni tecnicamente già disponibili, ma di corto respiro. "Quello che consideriamo sbagliato, scrive Murdoch, e la nostra capacità di esprimere ciò che è sbagliato in modo profondo, preciso e acuto, influenzerà la nostra idea di soluzione e nello stesso tempo ci darà la forza di cercarne una".

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